di Michele Giorgio
(foto e video di Michele Giorgio)
«Hanno portato qui centinaia di prigionieri, di abitanti di Gaza, uomini e donne, spesso con ferite gravi, anziani ammalati, persone con patologie oncologiche, tenendoli ammanettati e bendati per ore, per giorni». Irit legge la denuncia a voce alta, a poche decine di metri dall’ingresso della base militare di Sde Teiman, adiacente alla pista di decollo del minuscolo aeroporto di Beersheva. Di fronte a lei una cinquantina di attivisti con cartelli eloquenti: «Almeno 40 detenuti sono stati torturati», «Sde Teiman è un campo di tortura», «Cosa accade a Sde Teiman?» e altri ancora.
Dietro le recinzioni, i capannoni dove – spiegano gli attivisti – sono tenuti i prigionieri palestinesi. I manifestanti, di organizzazioni della sinistra radicale, parlano di Sde Teiman come della «Guantanamo di Israele», di una prigione in cui si tortura e dove le regole più elementari della dignità umana sono violate per infliggere la punizione severa possibile ai palestinesi di Gaza, tutti ritenuti responsabili dell’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023.
I militari di guardia alla base sono colti di sorpresa, non si rendono conto subito di quel gruppo di persone. «Avremmo voluto dire ai prigionieri che sono a poche decine di metri da noi, dietro quelle recinzioni, che non sono soli – prosegue Irit – e che hanno la nostra attenzione, la nostra solidarietà per gli abusi brutali e il degrado in cui vengono tenuti. Non smetteremo di denunciarlo e di chiedere la chiusura immediata di Sde Teiman». Il raduno si trasforma in un piccolo corteo verso l’ingresso della base. I soldati si allertano ma non intervengono.
Video PlayerGli attivisti a loro volta alzano i cartelli e stendono gli striscioni con il chiaro intento di farli leggere ai militari. Un’auto esce dalla base. «La vostra azione è inaccettabile, vi rendete conto che state manifestando a favore di mostri e assassini?», grida l’autista accanto al gruppo di attivisti: nei capannoni di Sde Teiman ci sono solo dei «terroristi».
L’ESERCITO ISRAELIANO ha arrestato almeno 5mila palestinesi di Gaza dopo il 7 ottobre. Soprattutto uomini, ma anche donne. Sono tenuti in vari centri di detenzioni e basi militari come Sde Teiman e Holot, spesso nel Neghev. In questi mesi sono girati filmati di palestinesi in mutande, ammanettati e bendati, presi in scuole, rifugi, abitazioni civili.
Tra di essi parecchi combattenti di Hamas e di altre formazioni armate. Gli altri però sono persone comuni, non coinvolte nel 7 ottobre o in combattimenti contro le forze israeliane che hanno invaso Gaza, ugualmente prese e portate via – di loro spesso non si è saputo più nulla per settimane o mesi – per essere lungamente interrogate, secondo la denuncia presentata il 4 aprile dalle ong Acri, Gisha, HaMoked, Medici per i Diritti Umani e il Comitato contro la tortura. In una lettera inviata alla procura generale militare, le ong chiedono l’immediata chiusura di Sde Teiman – dove si registrano gli abusi più brutali, sottolineano – e il trasferimento dei detenuti in strutture conformi alle condizioni previste almeno dalla legge israeliana.
CONTRO SDE TEIMAN e gli altri centri sono state rare, sino ad oggi, le voci di protesta in Israele. Larghe porzioni di popolazione e mondo politico invocano ancora la rappresaglia più dura contro tutta Gaza allo scopo di ottenere con la forza la liberazione dei 130 ostaggi israeliani, civili e militari, che sono nelle mani di Hamas. A inizio mese un medico, di cui la stampa non ha rivelato l’identità, ha denunciato in una lettera alle autorità le condizioni dei prigionieri presi a Gaza.
«Proprio questa settimana – ha raccontato il medico – a due prigionieri sono state amputate le gambe a causa di ferite dovute alle manette, purtroppo un evento di routine…i detenuti vengono nutriti con cannucce, defecano nei pannolini e sono tenuti confinati costantemente, il che viola l’etica medica e la legge». Tutti i pazienti dell’infermeria di Sde Teiman «sono ammanettati con tutti e quattro gli arti, indipendentemente da quanto siano ritenuti pericolosi». Un quadro persino più terrificante è stato fatto dalle persone interrogate a Sde Teiman e rilasciate dopo settimane o mesi.
I detenuti, hanno detto, sono tenuti in una specie di gabbia, inginocchiati in una posizione dolorosa per molte ore ogni giorno. Sono ammanettati e bendati. È così che mangiano, si nutrono e ricevono cure mediche. I soldati, hanno aggiunto, picchiano i detenuti, talvolta urinano su di loro, li privano del cibo, dei servizi igienici e del sonno.
Altre denunce, tra cui un documento dell’agenzia Unrwa (Onu) che include le testimonianze di oltre 100 ex prigionieri, riferiscono che le persone sono tenute in recinti all’aperto, con il divieto di muoversi o parlare, e subirebbero regolarmente gravi violenze che portano a fratture, emorragie interne, morte per mancanza di cure. Secondo una inchiesta svolta dalla giornalista Hagar Shezaf di Haaretz, a inizio marzo erano già 27 i detenuti morti in custodia militare.
LE AUTORITÀ MILITARI smentiscono categoricamente: a Sde Teiman non c’è alcun abuso e non viene praticata la tortura, «ai detenuti – dice il portavoce militare – viene dato cibo sufficiente accesso al bagno in base alle loro condizioni mediche. Se i loro movimenti sono limitati, vengono forniti i pannolini». E, aggiunge: i medici della struttura possono ordinarne il trasporto in una struttura ospedaliera. Non si capisce però perché ai medici della prigione venga chiesto di non rivelare l’identità e di non parlare ai giornalisti.
Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto.
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