Nella guerra di Israele a Gaza, i corpi delle donne palestinesi sono campi di battaglia

di Farrah Koutteineh

La violenza di Israele contro le donne palestinesi è fondamentale per il colonialismo
dei coloni perché esse sostengono la vita e la Resistenza autoctona.

English version

Nelle ultime settimane sono emerse rivelazioni inquietanti di diffuse torture sessuali e stupri di
donne palestinesi da parte delle forze israeliane che hanno invaso Gaza.

La settimana scorsa è stato riferito che una donna palestinese incinta era stata rapita e tenuta in
ostaggio insieme alla sua famiglia da soldati israeliani nelle vicinanze dell’Ospedale Al-Shifa di
Gaza.

È stata picchiata brutalmente per diverse ore e dopo aver detto ai soldati israeliani di essere incinta
di cinque mesi, il pestaggio si è solo intensificato. Successivamente i soldati l’hanno violentata
davanti al marito e ai figli, minacciando di sparare a chiunque di loro avesse chiuso gli occhi
durante lo stupro.

Queste terrificanti rivelazioni in realtà non sono una novità per quanto riguarda il continuo attacco
da parte di Israele ai corpi delle donne palestinesi. Questa è una pratica antica quanto Israele stesso.
Quando fu fondato lo Stato coloniale di Israele, appena 75 anni fa, lo stupro di massa delle donne
palestinesi faceva parte del suo progetto fondamentale.

I gruppi terroristici sionisti hanno utilizzato lo stupro di massa per affermare il dominio sulle città e
sui villaggi palestinesi nativi durante la Pulizia Etnica.

Gli innumerevoli massacri di palestinesi avvenuti negli anni ’40 durante la Nakba, al fine di creare
lo Stato di Israele, dal massacro di Tantura, al massacro di Deir Yassin, documentano tutti lo stupro
di massa delle donne palestinesi.

I gruppi terroristici sionisti spesso stupravano in pubblico le donne di un intero villaggio palestinese
per terrorizzare gli altri e spingerli a fuggire.

I coloni israeliani che hanno perpetrato tali barbarie non sono mai stati ritenuti responsabili. Oggi
invece sono acclamati come eroi nella società israeliana. Nei documentari su questi massacri ridono
e ironizzano sul loro ruolo negli stupri di massa, addirittura compiacendosi del fatto che alcune
delle loro vittime palestinesi avessero appena 14 anni.

Mentre molte delle dichiarazioni infondate del governo israeliano su ciò che è realmente accaduto il
7 ottobre vengono confutate, in particolare le loro azzardate dichiarazioni sul presunto “stupro di
massa” delle donne israeliane, è assolutamente vitale, ora più che mai, condannare la campagna di
75 anni di Israele di stupro e omicidio pianificati di donne palestinesi.

Durante la prima invasione israeliana del Libano nel 1982, le forze israeliane commisero alcune
delle violenze più inimmaginabili contro le donne palestinesi.

Il massacro di Sabra e Shatila del 1982 vide i soldati israeliani torturare, stuprare, mutilare e
uccidere oltre 3.500 rifugiati palestinesi, per lo più donne e bambini. Le terrificanti testimonianze
dei sopravvissuti ricordano impensabili mutilazioni dei corpi di donne incinte, testimonianze che
sono state effettivamente rubate e di cui si sono appropriati i sostenitori di Israele.

Avevano ingannevolmente proclamato che queste testimonianze brutalmente dettagliate di stupri,
mutilazioni e omicidi di massa da parte dei sopravvissuti al massacro di Sabra e Shatila, fossero le
testimonianze delle donne israeliane il 7 ottobre.

Ma queste affermazioni sono state poi verificate e si sono rivelate infondate. Molte, infatti, sono
state le testimonianze rubate dei sopravvissuti al massacro di Sabra e Shatila.

L’esperienza vissuta delle prigioniere politiche palestinesi esemplifica l’intensificazione della
violenza subita dalle donne palestinesi. Subiscono torture psicologiche, fisiche e sessuali per mano
delle guardie carcerarie israeliane. Sono addirittura stati documentati anche casi di detenute incinte
torturate fino all’aborto spontaneo.

L’ex prigioniera politica palestinese Rasmea Odeh ricorda un’esperienza straziante ma
sfortunatamente non insolita né unica per le donne palestinesi mentre erano incarcerate. Odeh fu
arrestata nel 1969 da Israele, perché appartenente al Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina (FPLP).

Dopo il suo arresto è stata brutalmente picchiata, torturata e stuprata dalle guardie carcerarie
israeliane, che hanno poi arrestato il padre di Odeh, costringendolo a guardare mentre torturavano
sessualmente sua figlia o a farlo lui stesso, cosa che Odeh è stata costretta a confessare falsamente,
temendo che suo padre potesse avere un attacco di cuore.

Dal 7 ottobre si stima che oltre 25.000 donne e bambini palestinesi siano stati uccisi dalle forze
israeliane. Il fatto che Israele prenda di mira sistematicamente le donne palestinesi non è casuale o
insensato, ma è esattamente alla base della natura violenta e coloniale della sua stessa esistenza.

Nel corso della storia coloniale di Israele, sono stati spesso i corpi delle donne palestinesi ad essere
visti come i campi di battaglia della dominazione coloniale dei coloni. Il colonialismo dei coloni
europei è costruito sul potere e sul dominio, non solo sostenendo nozioni di supremazia bianca, ma
di misoginia violenta.

Durante la vasta colonizzazione europea di Turtle Island (Stati Uniti e Canada), la violenza contro
le donne indigene divenne un elemento centrale della strategia coloniale di conquista e Genocidio.

Le donne indigene sono state oggetto di stupri e femminicidi a causa della loro capacità di sostenere
le loro tribù attraverso la maternità, e quindi la sopravvivenza delle popolazioni native dipende dalle
loro donne.

Le donne indigene sono sempre state viste come la minaccia demografica responsabile del
sostentamento della popolazione nativa che i progetti coloniali cercano di dominare o sterminare.

Oggi negli Stati Uniti e in Canada le donne indigene sono in prima linea nella violenza di genere.
Nonostante costituiscano solo meno dell’1% della popolazione, il tasso di omicidi delle donne
indigene è dieci volte superiore a quello di qualsiasi altra etnia.

Infatti, oltre l’80% delle donne indigene subirà violenza sessuale nel corso della propria vita con
maggiori probabilità di essere violentate o uccise piuttosto che di andare all’università. Le radici
della violenza contro le donne indigene nell’esperienza odierna di Turtle Island sono profondamente
coloniali.

L’inquietante fenomeno delle foto uscite da Gaza negli ultimi mesi delle perversioni dei soldati
israeliani che posano esibendo biancheria intima di donne palestinesi è radicato in una simile
misoginia coloniale.

La società dei coloni israeliani fin dai suoi inizi è stata coinvolta nelle stesse ossessioni orientaliste
nei confronti delle donne arabe, musulmane e mediorientali dei suoi predecessori coloniali.

Durante la colonizzazione francese dell’Algeria, il pudore delle donne algerine, in particolare il
velo, divenne una fissazione coloniale. Le donne algerine hanno svolto un ruolo fondamentale nella
decolonizzazione dell’Algeria: le donne velate non erano solo rivoluzionarie attive, ma il velo ha
rafforzato la loro stessa Resistenza sfidando gli ideali misogini europei delle donne che limitavano
il loro valore al loro aspetto.

Lo scrittore post-coloniale Frantz Fanon riassume questa fissazione come: “Questa donna, che vede
senza essere vista, affligge il colonizzatore. L’occupante era intenzionato a svelarle, perché c’è in
esso la volontà di rendere questa donna alla sua portata, di renderla un possibile oggetto del suo
possesso”.

I soldati francesi spesso tenevano “cerimonie di svelamento” di donne algerine, cerimonie di netto
contrasto con le scene attuali in cui le donne palestinesi a Gaza vengono spogliate con la forza e
umiliate dai soldati israeliani.

Quindi l’umiliazione e la violenza a cui stiamo assistendo oggi a Gaza e in tutta la Palestina
Occupata non sono solo un prodotto della guerra in corso, sono un sottoprodotto sistemico della
sopravvivenza coloniale dei coloni israeliani.

Le donne palestinesi che resistono sono tra le più diffamate dalla stampa mondiale e le più
perseguitate dalle forze coloniali israeliane. Donne palestinesi come Leila Khaled, Rasmea Odeh,
Shireen Abu Akleh e Ahed Tamimi intimoriscono i coloni israeliani, così come tutte le donne
palestinesi.

Perché quando le donne indigene si ribellano, dissentono e resistono, colpiscono il colonialismo dei
coloni nel profondo, sfidando allo stesso tempo le sue radici suprematiste bianche e misogine.

Le donne indigene aprono la strada alla liberazione e gli Stati coloniali le temono per questo.

 

Farrah Koutteineh è la fondatrice di KEY48, un collettivo di volontari che chiede l’immediato
diritto al ritorno di oltre 7,4 milioni di rifugiati palestinesi. Koutteineh è anche un’attivista politica
concentrato sull’attivismo intersezionale, tra cui il movimento Decolonise Palestine, i diritti delle
popolazioni indigene, il movimento anti-sistema, i diritti delle donne e la giustizia climatica.

4 aprile 2024

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
Pubblicata il 6 aprile 2024 da Nicole Santini

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